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Bottura, che D-Fest coi The Fooders !

Si scrive D-Fest, si legge Dissapore Fest, ma in primo piano ci sono The Fooders ed in rilievo Massimo Bottura.

Arrivi nella notte della grande luna in zona San Lorenzo, suoni quasi carbonara un campanello. Ti chiedono la parola in codice, non difficile, ci sei nato con quella. Chiedono conferma di chi ti porti dietro. Poi il portone si apre, senza grandi scricchiolii. Una figura incognita controluce chiede di chiudere il portone dietro di te. Mi posso fidare?

Dato che sei in ballo, balli. Entri e scopri una via rubata al traffico, un vicolotto rubato al tempo, ma non allo stile romano, quello del rosso vivace, caciarone, sorridente. Ti abbraccia subito questa atmosfera ignota ma calda, entri nel Loft. Un urlo ti si rompe in petto: “Che stile!”.

Nulla in eccesso e nulla meno della perfezione. Uno stile studiato, conoscendo The Fooders. Una stile lavorato ed insieme spontaneo. Il soffitto ti rapisce, le volte, una marea di volte ordinate, che ti trascinano verso il porto della cucina. Lo slancio di Nano Mondano, con bottiglia in mano, è lì solo per te e gli altri fortunati fiancheggiatori di Dissapore. Un rapido saluto a quei Fooders intenti a lavorare. Lo sguardo di Francesca è di un professionale e concentrato che se non ti fa paura, ti fa subito capire che lei sta lavorando per te. Mentre Marco attacca con un sorriso, ma l’onore e l’emozione del Bottura glielo leggi in volto. E lui, Lui, lo osservi e basta, come prima volta al suo desco vuoi solo lasciarti travolgere delle emozioni, per poi tradurle. Niente intromissioni, la tua prima volta vuole essere così…

Il salone si anima, mentre tu lo studi. Divani bianchi, sgabelli colorati, sedie regali sparse, musica che non fa da padrone eppure da l’umore della serata. Soft, elegante, ritmica, quasi blandamente d’affair. Se all’entrate i quadri son religiosi alle tue spalle compaiono decisi quelli surrealisti. La cucina limpida rimane però il punto di attrazione della folla.

Una spuma esce dalla cucina. Se Lorenzo si stupisce che tu non abbia mai provato la cucina di Bottura, tu dai un occhio agli alveoli della spuma, ma ti lasci, nella tua mediocrità, attrarre irrestibilmente dalla qualità del pane o focaccia che sia. Perfetta!

Poi…poi… ma te lo devo proprio dire? Esce un croccante di foie gras, un classico (per chi di classico si nutre) dell’Osteria Francescana. Un gelato, l’occhio sembra dirti. Le nocciole di Gobino (Piemonte) e le mandorle di Noto (Sicilia) si adagiano sul foie gras, che leggo saltato nel Calvados. Lo addenti ed è morbido, si forma quasi un’onda sul croccante dove hai dato il primo morso. E pian piano, perchè ti piace, arrivi all’aceto di Modena. Sai di essere diventato grande e di non addentare un gelato, solo (si fa per dire) perchè quel gusto soppesato ti rapisce.Dopo un po’ si avvicina una donzella e mentre la sua cravatta rossa ti ipnotizza chiede:

“Avete già provato il foie gras?”
E tu, con gli occhi non proprio innocenti dici, con tutta l’innocenza di questo mondo: “Sì”
Ma la tua mano si allunga a prendere il tuo secondo foie gras.
Dietro di te, un’altra voce esordisce con:”Sì”
E un’altra mano si allunga.

In momenti così capisci, ma non te ne importa molto, che non si cresce mai del tutto 🙂

Scorgi Elisa e riesci a scambiare un saluto prima di soccombere ad una scarpetta di matriciana. E speriamo che fosse amatriciana (o matriciana), perchè dopo il primo stupore del “come la mangio” ti trasformi in un agile economo sul come usare al meglio il pezzo di pane per tuffarti nell’egregia perfezione del sugo (ma lo potrò semplicemente chiamare sugo invece di anima del piatto?). E come avesti modo di leggere poche ore prima:

davvero i piatti semplici sono i più non difficili, non permettono errori. (Luigi Veronelli)

E veramente qui di errori non se ne è visti.
Diviene tempo anche per Vino Roma e Fabio Cagnetti di arrivare. Intanto tu dai del tuo non riconoscendo una Foodies in Rome, memoria canaglia. Ti soffermi ben poco sulle tue manchevolezze, perchè? Ecco una pasta, odi “ceci” e scopri, qui non me ne vogliano i presenti, una cosa buonissima: l’olio! Eccelso. Certo però che non puoi andare in cucina e chiedere “Che olio è?” dato che lì la bravura esplode per farti sentire la bontà degli ingredienti ancor prima della bravura degli chef.

Fagioli e cotiche“. L’orecchio aguzza, quasi contro natura, la vista. Una verrina, direbbe qualche blogger. Un’emulsione ripete qualcuno, ma c’è chi rimbrotta puntualizzando che di compressione si tratta. Alla vista son strati di fagioli e cotiche, al giudizio una parodia di bravura e papille gustative in visibilio. Ecco, a questi livelli, non c’è mamma, fidanzata, fidanzato (esisteranno?) che tenga. Questi livelli son da professionisti sinceri, diretti e che si danno alla ribalta solo quando la fatica ha fatto la sua parte.

L’intrattenimento si svolge, oltre che sulle note, anche con un della porchetta soffiata e carciofini sott’olio e bio nell’anima, mentre la bontà del pane si riconferma. So di qualcuno che ha trovato i carciofi troppo aspri, ma da parte mia davano carattere e biodiversità 🙂 a questo accenno di Castelli de Roma.

E poi fu amore! Guancia di vitello con crema di patate e mostarda di mele campanine e clorofilla (grazie Marianna commentatrice attenta di Elisa). Destino ha voluto che toccasse un bella slepa di guancia, come si direbbe a nord est. Potrei dire che la guancia era morbida, ma in realtà si andava oltre la morbidezza. C’è chi ha suggerito labile, ma il cibo perfetto esige descrizioni più immediate. La clorofilla è stata assaggiata con la volontà di scoprirne il sapore ed immagazzinarlo nella memoria. Missione compiuta, mentre ancora si tessono a destra e manca le  lodi di quella guancia. Quasi quasi porgerei l’altra guancia, senza voler risultare blasfema.

Tra tante scoperte non son mancati i momenti ilari sbracati sul divano, dalla Germania all’Australia passando per la California qualche battuta è fuoriuscita e ricordi di gioventù, capelli fluenti e ricci, son stati confessati. Il risotto alle zucchine ed alici ha lasciato un po’ perplessi, ma l’uso della pastella croccante non è passato inosservato.

Tocco finale, prima del saluto finale, il sorbetto di tortellini e Parmigiano, sorbetto inusuale a dare quasi memoria della terra modenese e della perfezioni fatta di pazienti e mini tortellini.

Infine e con quell’ahimè rotto in gola arrivarono i saluti. L’entusiasmo non smorzato dall’ora rimbalza ogni volta che c’è un amico a cui raccontare l’evento. Un evento che ha conquistato, non c’è che dire e che lascia aperta la porta a future incursioni, vuoi in terra The Fooders vuoi in terrà (spero proprio) Fracescana. Ma prima è d’obbligo un grazie al clan Dissapore.