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La birra che Vale la Pena

Quando la birra è un’occasione per non buttare via niente, neanche una seconda chance, allora quella birra è Vale la Pena. Quanto è bello scrivere questo post dove i doppi sensi si sprecheranno, in pieno spirito di Vale la Pena. Ogni parola è libera di avere un doppio significato, una sorta di seconda possibilità di dire la sua. Prima ci fu Semi di libertà, una classica associazione no profit, che nel 2012 avviò un progetto di inclusione nella, cosidetta, società civile, dei detenuti nel carcere di Rebibbia. Fin qui nulla di strano, se non tutto cominciò a finire in bottiglia e a chiamarsi Birra Vale la Pena. Nel tempo ci finirono di mezzo anche l’Istituto agrario “Sereni” di Roma e l’esperienza di qualche birrificio fuori le mura, come Birra del Borgo, Turan, Stavio etc.

Cosa fa un Amaro Indigeno?

Che spazio c’è oggigiorno per l’inventiva? Se da un lato abbondano i corsi per la creatività, dall’altro siamo ben ancorati alle tradizioni. Chi e come può sfidare questo status quo? Intanto, mi verso un po’ di Amaro Indigeno. Ed intanto lancio uno sguardo all’etichetta: erbe spontanee di Sicilia. Penso subito al solito liquore tradizionale, con una storia talmente infinita da essere indefinita. Eppure c’è quel non so che…Rileggo l’etichetta: melagrana. Uhm, ma allora non è la solita storia.

Infusore per il tè a chi?

Una provocazione estiva o uno scherzo ben riuscito? Come un infusore per tè può diventare una delle idee regalo (con ogni temperatura) L’importante è saperlo fare con stile. Fare un regalo è cosa comune. Fare un bel regalo è un qualcosa che richiede occhio e stile, appunto. Immagina di doverti mettere alla caccia di un’idea regalo in piena estate. Su cosa punti? Io sono stufa di regalare libri. Con la temperatura che sale sempre più non ho la pazienza di pensare ai gusti del destinatario del regalo, ma punto direttamente ai miei desideri. Allora spulcio le liste di idee regalo, suggerite da siti come LoveTheSign. Ristretta la scelta, aggiungo un pizzico di mio ed il regalo è fatto. Il mio spesso è l’ironia (o presunta tale).

Cocktail: dalla ricetta ad Instagram

Cocktail: come si comporta un narratore quando gli versano del Daiquiri e ha Instagram a portata di mano? E’ un po’ che su Your Brand Camp rifuggo dalle ricette e mi ritrovo a scrivere di storytelling, che altro non vuol dire che narrare. Certo, non ogni blogger nasce narratore e non ogni foodblogger trova facilmente la sua metafora perfetta quando scrive della pasta alla Nerano o dei tortellini in brodo. Certo, quanto un presunto narratore si ferma davanti ad un Negroni la tentazione è molta. Dopotutto anche Hemingway scriveva con un po’ di Martini davanti (o era un Daiquiri?). Non di solo storytelling dell’uovo, la foodblogger campa. Un po’ di Lillet o di Saint Germain qui e là è d’aiuto. Ma come fare diventare il calice il protagonista del racconto? Ne scrivo, sobria, sull’ultimo post apparso su Your Brand Camp. Sotto il titolo Come fare storytelling dei coktail trovi quelle riflessioni nate leggendo e bevendo.

Vermouth wishlist: scrivendo e gustando il vermut

Vermouth wishlist: i miei desideri attorno al vermut. Perché il desiderio è il vermut e non il vermouth. Da un paio d’anni giro attorno al vermut. Lo incontrai prima nelle parole della Cavia. Impossibile per lui non confondersi tra Punt e Mes e Rosso Antico. Anche anni ed anni fa le campagne promozionali riscuotevano consensi. Così i bicchieri Rosso Antico era un suo caro ricordo, seppure al gusto la Cavia è tutto un Punt e Mes. Venne poi un viaggio in Galicia (o Galizia spagnola) e la lettura di un quotidiano e l’assaggio di un vermut alla spina. E pure a Siena, seduti in Piazza del Campo, non potei non cedere di fronte ad un vermut rosso Riserva Carlo Alberto che figurava nel menu della Liberamente Osteria. Con questi tasselli comincia questa vermouth wishlist.