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Tagliatelle sempreverdi

Tagliatelle alle cime di rapa per una questione d’amore  Sono una pessima romantica, non c’è San Valentino che tenga. Il sospetto sorge, sull’essere pessima, dal fatto che ho voluto vestire le tagliatelle all’uovo con delle cime di rapa e le ho presentate in (fin troppo) piccole cocotte mascherandole d’amore. Eppure c’è sincerità nel voler festeggiare, una ricorrenza impellente e ineluttabile come San Valentino, con un tocco di verde. Un rapporto, impellente ed ineluttabile come l’amore, commuove, appasiona, rende deboli e caustici a volte. Eppure è talmente irto di segreti da essere pure conturbante. Non sempre il pollice è verde per mantenerlo vivace ogni giorno. Così mi hanno detto. Ma io vado per la mia strada: ostinata, contraria, disordinata… e capace di scorgere un riparo dietro una buona tagliatella. Ho voluto giocare con le cime di rapa, perché a volte sono una rapa in amore, altre una cima, ma soprattutto testardamente tento di mantenere sempreverde un rapporto, ancora più capriccioso dell’amore, qual è il matrimonio. Ma è tutta felicità! Ecco le tagliatelle sempreverdi per chi è …

Domiamo il Livarot

E’ stata una battaglia impari. L’ho comprato curiosa in Normandia e mi sono lasciata conquistare. Ancora abbindolata dal ricordo ho deciso di fargli posto nella tavola del Capodanno. Stavolta però ho scelto uno tosto, talmente tosto che seppur apprezzato ha richiesto del tempo per essere avvicinato a noi senza problemi. Non mi considero una persona schifiltosa, ma l’odore ardito, forte, pungente, invadente del Livarot mi ha messo in difficoltà. Questo ero un Livarot di carattere con persino una medaglia al collo data la sua qualità. Il Livarot è un formaggio di latte vaccino della Normandia. Viene proprio dal comune di Livarot ed è protetto dalla Appellation d’Origine Contrôlée (AOC) fin dal 1975. Lo riconosci per il colore della “scorza”, arancione e per quelle tre linee esterne. Queste non sono altro che un lungo nastro di Typha latifolia. E’ lei, con questo suo decoro, a dare il soprannome di Colonello al formaggio. Il formaggio più vecchio della Normandia ha un impasto molle, ma un sapore cocciuto come un Colonello. Per domare il carattere autorevole una sera …

Crema di riso basmati alle pesche

Appisolata sul tempo salivo le scale di casa. D’abitudine lanciai la borsetta gialla nel sua angolo così che potesse farmi dimenticare gli impegni che l’agenda imponeva per il giorno dopo. Uno sguardo dalla finestra al cortile interno, piccolo, raccolto ed ambito dai turisti. Il semplice gesto capace di ricordarmi che ora il lavoro doveva stare lontano. Cambiata d’abito, libera negli shorts, presi in mano la lettera inviata da La Cucina Italiana dove mi invitava a pensare ad una ricetta di stagione a base di riso. Minuti si susseguirono. Dosai gola, necessità, stagione e virtù. Alcune idee finaliste giunsero. Mi spostaii in cucina. Questione di pochi metri per verità. Ma la scena per muoversi necessita di gesti, seppur piccoli, seppure contenuti nella nostra dolce scatoletta di trentacinque metri quadri. Come dicevo, approdata in cucina dopo aver superato attimi di scelte epocali 🙂 e di estate torrida, mi lascia andare. Guidata dalla mano invisibile del tardo e sonnolento pomeriggio nacque un dolce per la cena. Bianca come il latte. Profumata d’Oriente. Morbida come un frutto. Ecco la:

Quasi muffin per i 125 anni

Arrivarci a 125 anni. Jakob Pagitz c’è l’ha fatta. Lui ed il fratello Franz cominciarono negli anni Ottanta dell’Ottocento a mettere il succo di frutta dentro le bottiglie di vetro. E nel 1949 a questa abitudine commerciale venne affibiato un vero marchio: Pago. Pagitz più la tedesca frutta (Obst) fa Pago. E io pago… scusa, ho troppi estimatori di Totò in casa per non fare questa battuta. Eppure Pago, quello con la P maiuscola,  ha pensato a me e a te. Nel 2013 Pago scrisse infatti ad alcuni foodblogger. Vuole festeggiare un compleanno con un nuovo succo Pago. Ed io chi sono per poter rifiutare? Dopotutto nei pomeriggi lavorativi è oramai consuetudine scambiare uno sguardo con la mia collega e dire: “Succo romantico?” “Sì, succo romantico sia” Scendiamo al bar dell’ospedale dove lavoriamo ed ordiniamo il nostro succo in due bicchieri. Al bar ci conoscono tante che alla richiesta di un ACE ci chiedono perché e noi due rispondiamo: “Perché ci piace” come ci insegnò un giorno uno dei barman. Ma se ci presentiamo al …