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Crackers al Prosciutto di San Daniele

Avevo del Pinot Grigio 2010 di Villa Job tra le mani. Lo rimiravo ricordardomi di quella volta col Risic Blanc sempre di Villa Job. Negli occhi comparve il profilo di San Daniele del Friuli. Sempre là, dalla finestra della camera dove studiavo. Il profilo alpino, una corona che si vestiva di un blu quasi magico se la pioggia bussava alla porta  e ancora nessuno le apriva. Ai piedi dell’irrequieta corona, il monte di Ragogna,ne distinguevo le fronde dei boschi. Un ricordo di Gemona sulla destra, troppo lontano per delinearsi netto. Mentre più marcata era la presenza di San Daniele. Il campanile, le case sparpagliate sulla collina che elegante (ed un po’ posh) voleva farsi notare. E durante la festa del prosciutto, che ai miei tempi 🙂  era ad agosto, era più che notata. Strade intasate, autobus navetta, orari strategici per visitare una cittadina dove finivano ogni giorno con la cartella in groppa. Orde di gente a scoprire quel prosciutto, a farne orgoglio e delirio per un fine settimana.

Quasi muffin per i 125 anni

Arrivarci a 125 anni. Jakob Pagitz c’è l’ha fatta. Lui ed il fratello Franz cominciarono negli anni Ottanta dell’Ottocento a mettere il succo di frutta dentro le bottiglie di vetro. E nel 1949 a questa abitudine commerciale venne affibiato un vero marchio: Pago. Pagitz più la tedesca frutta (Obst) fa Pago. E io pago… scusa, ho troppi estimatori di Totò in casa per non fare questa battuta. Eppure Pago, quello con la P maiuscola,  ha pensato a me e a te. Nel 2013 Pago scrisse infatti ad alcuni foodblogger. Vuole festeggiare un compleanno con un nuovo succo Pago. Ed io chi sono per poter rifiutare? Dopotutto nei pomeriggi lavorativi è oramai consuetudine scambiare uno sguardo con la mia collega e dire: “Succo romantico?” “Sì, succo romantico sia” Scendiamo al bar dell’ospedale dove lavoriamo ed ordiniamo il nostro succo in due bicchieri. Al bar ci conoscono tante che alla richiesta di un ACE ci chiedono perché e noi due rispondiamo: “Perché ci piace” come ci insegnò un giorno uno dei barman. Ma se ci presentiamo al …

Le mie cocotte

…e ora sono cocotte tue! Ho scoperto le cocotte e me ne sono innamorata. E’ come un piccolo gesto acquisisse forma nuova. Spesso è frittata, altre volte crumble. Ogni volta quella dolce sorpresa che la semplicità può regalare. Bastano loro a rendere incantata l’atmosfera. Sarà la forma, ma l’occhio ne viene attirato e la golosità ecc0la pronta a comparire. Idee per due innamorati, un po’ troppo adulti per sfornare sguardi a forma di cuore, ma che più realisticamente sorridono e ridono. E tra scherzi, fatti di quotidiano stress e serenità, si insinuano loro. Le cocotte. Prima fu un crumble pensato per il Natale. Mi ritrovai a viaggiare nei Natali passati, fatti di pigri pomeriggi in casa. Il calore della cucina a legarci tutti in sala da pranzo. Libri e riviste a distrarci tra un tè e l’altro. E ho pensato a quell’energia di Piccole Donne, che portava a dire “grazie” con una rapida esecuzione teatrale. Con la cocotte in mano, una fetta di pane nell’altro palmo, è nata l’idea di un crumble di mele alla …

Cocotte, uova e Trentingrana

Quando si dice che gli uomini in cucina se la cavano bene. Questa ricetta nasce da un’idea di mio marito, anzi da una sua abitudine. Una sera stanca e stufa del  dover faticare ancora l’ho implorato di preparare la cena. Niente pizze surgelate a facilitargli il compito. Lui non demorde. Prende le uova e … Mi presenta in tavola una frittata di pane. L’osservo curiosa. Assaggio ed un bacio sulla guancia divenne d’obbligo. Un piatto semplice, comune nella sua famiglia, decisamente assente nella mia.

Malterreno e street food

E se poi questo street food si fa polenta? Dai Colli Euganei mi arrivò tal Malterreno. Lessi che si otteneva da vigne di Tocai e Garganega. Il produttore era Quota101 ed il mio compito ricercare uno street food che sapesse accompagnarsi a tal vino bianco. I terreni di partenza, argillosi, mediamente calcarei, non lontani dalle mie lande d’origine forse ebbero un ruolo nella mia scelta. Io di fatto ero spaventata dalla parola street food. Anche perchè nella mia testolina non emergeva alcun ricordo di street food a meno che in questa categoria non facessivo ricadere i panini o il cibo da sagra. E alle sagre di paese lassù a nord est, non manca mai la polenta. Mi vedo già qualcuno della  mia famiglia sogghignare a leggere “polenta”. La adoro, tanto che ne ho fatto un inno in un passato post. Persino l’ultima volta che sono passata lassù a nord est, ho chiesto alla mamma di prepararmi della polenta. Stavolta perché non è stato solo il cuore goloso a guidarmi. Mi è tornata la memoria, infatti. …