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Pane, Betlemme e ricordi

Quell’ossessione: il pane.
Non sarò mai stata buona come il pane,  ma il pane mi è sempre piaciuto.
Sarai felice…ti piace il pane, ti piace sederti per terra, ti accontenti di poco” disse Nonno Bepi, forse nell’ultimo giorno di lucidità sua che trascorremmo assieme. Eravamo ai bordi dell’orto. Io seduta appunto per terra, lui nella tua poltrona di vimini.
Quando torni a casa tu compro sempre il doppio del pane” diceva mia madre prima di imparare a farlo col lievito madre che le ho donato con la forza.

E adesso penso al pane pure in chiesa.
Sì, succede che a volte vada pure io in chiesa.
Anima libera, a tratti irrequieta, eppure amante della tradizioni. Così a Natale col mio neo-consorte mi sono recata, come tutti i Santi Natali che ho vissuto a Roma, alla messa. Dopo che qualche coro spontaneo aveva riecheggiato nell’enorme chiesa, a seguire di qualche lettura che richiamava alla gioia della nascita, il parroco, Don Luigi, prese la parola.

Io intanto sorridevo ad un Labrador ammesso nel sacro edificio ed  un piccola e dolce bambina sgambettava dietro di me, ecco che però pure Don Luigi attira l’attenzione, almeno la mia, dicendo:

“…Vi invito a riflettere su quello che sta succedendo a Betlemme. Betlemme vuol dire la casa del pane e oggi si trova in Siria dove è in corso una guerra civile”.
Pane! Ha detto pane.

Non nego che ho anche pensato alla sanguinosa ed intrigata guerra siriana. Dalle pagine dei giornali so che è un gioco di fazioni, di cambi di fronti, di scontri anche diplomatici, insomma il solito disordine che quella benedetta parola “potere” può indiscriminatamente creare senza morale. Eppure la parola “pane” associata a Betlemme solleticò alla pari l’insana ed irriverente curiosità.

Ma ha detto pane ?!?
Ovviamente non mi sono alzata in piedi per chiederglielo. Anche se mi sono guardata attorno per capire se quella semplice e bella parola, “pane”, avesse attivato la curiosità di qualcun altro.
Effettivamente, poi, fuori dalla chiesa ho chiesto conferma a mio marito, il quale però mi ha anticipato dicendomelo e sogghignando. E sì, perché lui mica si è preoccupato del lavoro di ricerca e verifica della parola di Don Luigi, no no, ha pensato a me e a come la cosa mi avrebbe potuto interessare. Questi uomini  🙂
Ma torniamo alla “casa del pane”.

Betlemme. Vi ricordate quando i genitori da piccoli ci raccontavano la storia della cometa, dei Re Magi, di Giuseppe e Maria, della grotta. A me ha sempre ispirato un’immagine di pace domestica, custodita tra chi si vuole bene. Nella mia mente Betlemme ha luci soffuse, locande umili senza posto per Maria ed una grotta lontano dalla case. Eppure là nacque bel bambino.
Attirò a se genti varie. Pastori, pecorelle, cantori ed i Magi. Lo devo ammettere, la mia religiosità a Natale si fa molto fanciullesca e la voglia di credere in un mondo migliore mi invade facilmente. Così mi metto a cercare tradizioni, come i pani del Natale per ricreare le basi di quel mondo migliore.

Ma mai avevo sentito parlare della “casa del pane”. Anni e anni di dottrina non mi hanno lasciato tale ricordo.

Così mi sono messa a cercare, ovviamente dopo il gran pranzo di Natale.
E’ tutto un gioco etimologico alle cui ragioni ho fatto qualche difficoltà a risalire. Dopotutto non c’è neppure accordo sul significato di Beth-lehem o Beth-Lahm. Le due parole che seguono Beth sono dovute al fatto che esistono due Betlemme nella Bibbia. Come spesso accade in questi casi, sono anche cittadine distanti tra di loro. Una, diciamo la nostra Betlemme da bambini, si trova in Giudea, mentre l’altra è localizzata nella Galilea.

Limitiamoci alla prima Betlemme, ossia alla casa del pane. Si trova a sud di Gerusalemme a 2500 metri sul livello del mare. Abbandonando la geografia e dedicandosi invece alle parole, giocando con la lingua ebraica ed aramaica, sembra che il concetto di casa e di comunità sia nascosto tutto nel Beth (o “Bayt” in ebraico). E’ lui a far pare di casa o persino di città del pane. Ma il pane da dove viene?
La chiave di tutto è la parola “lehem”. Nella Bibbia questo termine indicata il cibo in generale e spesso viene associato a laham che è un verbo che indica semplicemente il gesto del mangiare. Eppure in alcuni casi, laham, viene usato per richiamare la battaglia. Da cui Betlemme viene usato per indicare la “casa del pane” anche con la connotazione di “casa della battaglia”.

L’associazione “casa del pane” e la “mangiatoia” dove nacque per tradizione Gesù mi porta a lasciar da parte l’interpretazione quale “casa della battaglia”, legata a vicende belliche secolari.

Come me qualcun altro si interessò all’interpretazione di “casa del pane” e giustificò tale interpretazione della città natale di Gesù e di Davide legandola alla diffusa coltura del grano in quell’area ai tempi dell’Antico Testamento. A parziale conferma di ciò è il fatto che il famoso tempio di Gerusalemme, distante solo 5 chilometri, era in origine il luogo dove veniva separato il grano dalla pula o, in termini più biblici, per separare il grano buono da quello cattivo. Oppure in altra passaggi del Vecchio Testamento si ricorda l’arrivo a Betlemme di Ruth e Noemi all’inizio della stagione del raccolto, ossia in primavera. Non si cita però  il grano generico ma specificatamente l’orzo, tanto che Ruth ne divenne una spigolatrice.
Ai raccolti di grano di Betlemme ci accenna anche in un papiro. Infatti, nel Papyrus Leiden, del regno di Ramesse II ( 1250 a. C.)  si legge che veniva distribuito grano agli uomini dell’esercito e agli Apiru che trainano la pietra per realizzare il grande pilone di Ramses II. (PS Ovviamente ho curiosato anche tra i pani degli egizi)

Betlemme ha anche una sorta di secondo nome nell’Antico Testamento: Efrata, che significa la fertile o fruttifera o fertile. Il che lascia supporre, a questo punto, che i raccolti di grano erano ricchi. Efrata però indicata un’area più vasta rispetto a Betlemme.

E qui ho fermato il mio girovagare tra prediche, nomi e ricordi allegri di una fanciullezza passata a correre verso la chiesa del paese allo scoccare delle due pomeridiane. C’era il rito sì della messa e della dottrina ma anche e soprattutto dello giocare assieme attorno al campanile. Niente oratorio per noi, solo una bella libertà fatta di un’autonomia  precoce che solo un mondo semplice, forse proprio da “casa del pane”, può dare.