Pane e lievitati, Viaggi

La tessitura e il pane

Si sappia, lo stile per me è più una parola che un dato di fatto.  Eppure ho un debole per le cose di un tempo e per i ritmi di un tempo. Così mentre ero sulla via del museo di Pastena comincia a conoscere una certa Assunta Perilli.
Lucia Galasso mi aveva detto che lei era la responsabile del laboratorio sulla tessitura. Ah, vedi, però. Oltre questo non sapevo che pensare. Ma si sa le responsabili del laboratorio del pane a volte sono più dure del loro pane.
Poi di fronte ai cibi locali e del sano vino rosso ecco che tra risate e allusioni cominciammo a conoscerci.

Tipi tosta, di Campostosto, Assunta Perilli nacque archeologa e divenne tessitrice.
C’è chi si immagina le tessitrici anziani,  ma anche loro sono state giovani e a volte, come accade per Assunta, lo sono a tutt’oggi. Non vorrei toglierti la sorpresa.
Sappi solo che Assunta ha un’energia, una carica, una dedizione ricche di fascino e conosce saperi e segreti che noi comuni mortali non abbiamo. Lascio parlare lei, io comincio già a rimanere a bocca aperta.

Partendo dalle cose semplici. Come mai tu e il telaio siete diventati inseparabili?

Io e il mio telaio siamo inseparabili prima di tutto per affetto, era di una mia nonna. L’ho trovai per caso nel 2001 in cantina mentre cercavo tutt’altro.
Senza ancora sapere di aver trovato il mio “futuro” lo tirai fuori e cercai tutti i pezzi che mancavano. Quando pensai di averne trovati abbastanza allestii un apiccola mostra che ebbe un grande successo.
In autunno cercai anche delle anziane del paese che mi istruissero sulle varie fasi del lavoro. Dopo un inizio faticoso, per convincerle; nacque una tacita sfida. Loro erano convinte che non ce l’avrei mai fatta ed io al contrario incaponita. Una sfida da “montanare”.
Manco a dirlo ho vinto io. Dopo tanta fatica e duro lavoro. Mi mettevano continuamente alla prova cercando anche un pò di ostacolarmi senza sapere che invece mi stimolavano.

L’anno dopo abbandonai completamente l’archeologia e mi “fidanzai” definitivamente con la tessitura.

Dopo due anni, le nonne divennere più malleabili perchè si erano rese conto che non avevo mollato e che mi interessavo sempre di più a questa porzione del loro mondo “dimenticato”.
Capirono velocemente il lavoro di recupero che stavo iniziando e cominciammo così insieme a collaborare ad accumulare interviste e tessuti da schedare. Insomma, stavo recuperando tutta la tradizione orale non solo legata alla parte tecnica ma anche al backstage, a partire proprio dalla loro vita quotidiana.

Dalle nostre sobrie chiacchiere a Pastena, so che segui tutta la filiera del lino, letteralmente dal seme al telaio. Mi racconti meglio questa avventura?

La filiera del lino, insieme a quella della lana era un elemento basilare di questa tradizione che andavo a recuperare. I tessuti delle “nonne” erano realizzati a mano e per tutte le occasioni, dall’arredamento e l’abbigliamento.

Quando chiesi di iniziare la filiera del lino tutte furono contentissime pensando che riuscissi bene nell’operazione così come era accaduto con la tessitura.

Invece per due anni le deluse “nonnette” attesero invano i risultati sperati, mi riusci tanto difficile capire il grado di maturazione del lino. Mi dicevano  “color oro” quando chiedevo indizi al momento del raccolto.
Oggi so qual’è il color oro solo perchè gli anni precedenti lo raccolsi o troppo maturo o il contrario.

Ora una domanda da appassionata del pane. Quali teli usare per il pane?

I tessuti da cucina erano molto più esigui di quelli che immaginiamo, ma dopo lo”sparrone” cioè lo strofinaccio il tessuto più importante è quello per il pane, anzi quelli perchè sono due.
La “sparra” un lungo tela di circa 2 metri con la quale si coprivano i pani in lievitazione per portarli a cuocere nel forno pubblico del paese. Ogni sparra veva un decoro che le permetteva di essere facilmente individuata al momento del ritiro dopo la cottura. Una sorta di ricevuta. La foto rappresenta la sparra di mia nonna Assunta. La sparra aveva  a volte la trama in lana per permettere una lievitazione migliore, pensiamo anche al freddo di queste case in inverno a 1400 metri.

La sparra del pane è molto più che territoriale è quasi familiare, ogni famiglia aveva il suo motivo decorativo che a volte tanto somiglia alla tessitura sarda dei pibionis . Quella della famiglia di mia nonna (Campotosto, Aquila) era un rombo tra due righe rosse e quella della sua vicina di casa tanti triangoli orizzontali intervallati da righe azzurre chiaramente ricamata con le iniziali rosse, era un modo questo, in caso di omonomia, per distinguerle quando il pane veniva portato al forno e poi ripreso dopo la cottura.

Poi c’è anche il telo dove si conservava il pane per 15 /20 giorni ed era di lino con ordito di cotone  generalmente senza alcun decoro come dell’altra foto e senza alcun decoro.

Una curiosità sul tessuto per il pane. Il lino perché veniva usato? Non si attaccava al pane?
Te lo chiedo perché io con i cannovacci quando li metto a contatto col pane fatto col lievito madre tendono ad attaccarsi, nonostante tutta la farina che ci metto.

Quello del telo che si attacca è un “inconveniente” che non si riesce a risolvere neanche con tanta farina ed il telo di lino. Un giorno era da una mia amica che faceva il pane insieme alla nonna nell loro agriturismo e ad un certo punto mi disse: “Devo andare perchè dobbiamo staccare il telo dai pani...”.

E se i lettori volessero contattarti?

C’è il mio blog Tessitura a mano di Assunta Perilli nonchè un’email: fibula@libero.it

Se vuoi vederla prima di contattarla, c’è Assunta Perilli su YouTube.

 

Io non posso che ribadire il piacere nello scoprire Assunta. Ha fatto una scelta di vita, sta dando voce e mani ad un saperi altrimenti destinato a scomparire e porta avanti un dialogo da generazioni dal valore incalcolabile. Queste sì che sono politiche di vita a lungo termine.


Da destra verso sinistra: Lucia Galasso, Assunta Perilli e Rossella Di Bidino. Memoria di una domenica bestiale 🙂