“Non capisco proprio come facciano a vivere così.
Vai alla fermata degli autobus e non c’è neanche un orario. Arrivano quando ne hanno voglia.
Il traffico è infernale, un caos senza pari.
Il concetto di puntualità è…andato in ferie.
I ragazzi guardano le ragazze in un modo…manco fossero carne da macello.
Tutti credono di essere simpatici, ma son solo cafoni.
L’italiano…strascicato, come se fossero stanchi di parlare.
No, no, io non ci vivrò mai qui, a Roma”
Don’t worry. Questo è solo quello che ho pensato e detto di ritorno da un viaggio a Roma. Correva l’anno 1999. Roma era invivibile per chi arrivava dall’ordinato Friuli. La città era in subbuglio per l’avvicinarsi del Giubileo. Prendevi un autobus, non obliterando il biglietto, e ti ritrovavi non si sa dove. Per tornare da Villa Borghese non c’era un mezzo pubblico che ti riportasse a valle. E se ti ritrovavi lì nell’ora in cui i tuoi genitori, metodici ad oltranza, si aspettavano una telefonata da te…beh erano cavoli. Alla vista della prima cabina telefonica mi sentii in salvo, certo non dai loro rimbrotti che da un paese di 700 abitanti non potevo cogliere il tuo disagio nell’essere in una città di 2 milioni di abitanti.
Ma tra pochi giorni mi sposo.
Mi sposo a Roma e mi sposo con un romano.
Cosa è successo?
Mmm beh prima di tutto un master intenso di otto mesi a Milano, dove ho imparato tanto compreso che la qualità di vita conta. Non era ancora tempo che mi ritirassi in campagna, così decisi di proseguire verso Roma.
Mi ricordo ancora al ritorno all’appartamento milanese, zompettante sotto un sole stranamente milanese ed ecco l’immagine di Roma che mi compare avanti. Rivedo uno scorcio scoperto un anno prima durante un viaggio di lavoro nella capitale. Via Cavour che si immette sui via dei Fori Imperiale. La luce fatata del tramonto adagiata su una cupola bianca: una bellezza maestosa e silente.
Mesi e anni difficili. Arrivare a Roma da sola e dover zompettare ancora. Carattere da modellare, testardaggire da conservare, romanità da capire. Serve tempo per queste cose.
Poi a Monaco l’amica disse: “Tu non pensi come gli italiani, prova a farti amico qualche inglese“. Così entrai in quel Rome Village, che alla fine mi portò una grande amicizia femminile e sto qua…questa Cavia…
Pensa un po’, appena lo incontrai per un’uscita di gruppo di trekking, lo vidi scendere dall’auto con…una donna.
“xxxxxx omiss per decisione del garante della privacy 🙂 .” pensai io (pure troppo direi ora, a volte).
“xxxxxx omiss per decisione del solito garante della privacy casalinga” pensò lui.
E poi…
Arrivai a casa sua la prima volta dopo l’uscita di trekking. Arrivai con la mappa in mano e con delle mele e curry. E sì, perchè cucinai per lui fin da subito.
Non è uno scherzo. Quando si dice il destino!
Quindi, capa tosta, sogni in spalla ed un po’ di fortuna …così ho trovato un uomo da sposare 🙂
Come tutte le cose della vita non è stato facile aspettare, crederci, aspettare ancora, sperarci, buttarsi a capofitto, crescere, affrontare i momenti difficili, ritrovarsi assieme, capirsi…e cucinare, cucinare, cucinare 🙂
Le immagine del post sono tratte da Bristcol Street Art, Ruffled.
La prossima puntata lunedì 26 marzo 2012: Oh, ma ci sposiamo #13: le prove
Per le puntate precedenti:
Oh, ma ci sposiamo #1: son cose che succedono
Oh, ma ci sposiamo #2: come te lo chiedo
Oh, ma ci sposiamo #3: parola in codice “sposa”
Oh, ma ci sposiamo #4: tenere a bada la mamma
Oh, ma ci sposiamo #5: say yes to the dress
Oh, ma ci sposiamo #6: s’ha da fa‘
Oh, ma ci sposiamo #7: la ninnina
Oh, ma ci sposiamo #8: ed Enzo Miccio?
Oh, ma ci sposiamo #9:io stata mai qua
Oh, ma ci sposiamo #10: e mo’ che dico
Oh, ma ci sposiamo #11: mettiti la fede