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Sfogo

L’altra sera è arrivata la notizia tipo a mezzanotte, quando le principesse generalmente devono abbandonare il ballo incantato.
E’ arrivata la notizia che G., la seconda nipote della Cavia, era stata investita fuori dall’ospedale dove si sta specializzando. E pure il suo ragazzo F. era stato investito dallo scooter ed era in terapia intensiva.
La Cavia si è subito preoccupata, io ho dato priorità a qualche pensiero e al sonno. Poi la mattina son corsa su un treno all’ospedale, dove tra l’altro lavoro.

Ho sempre pensato che le cose sono ancora più brutte quando vissute da spettatore e non da protagonista. Il malato reagisce, compare una forza incredibile, inspiegabile e spontanea nei momenti che ti mettono di fronte ad una scelta irrevocabile. Chi sta fuori, immagina, pensa, trattiene le lacrime…

Quanti pensieri e contropensieri, quante consapovolezze e calcoli ipotetici, quante desideri per chi sta a letto, quanti volti nuovi sulle facce di chi conosci. Quanti “meno mali”, “avrebbe potuto”, “è stata fortunata”.

Ma di mezzo tra l’ora ed il sollievo ci sta solo il tempo. Tempo che deve passare, tempo che deve essere vissuto, tempo che deve imporsi, tempo che deve rimarginare ferite e pensieri, tempo che va affrontato.

Se potessi… Non ho mai capito il dolore, non ho mai capito il progetto che sta dietro ad un dolore, io ed il destino interagiavamo a viso scoperto, a volte, ma ognuno per la sua strada, a mo’ di Don Camillo e Peppone. Ho tante speranze su come G. possa affrontare la cosa, ma lei è lei, la sua vita è sua, è lei che deve guarire…

Posso solo appellarmi a pazienza, forza e tante altre belle parole. Anche l’eccelso Hemingway col suo:

“A volte preoccuparsi è dannoso come aver paura; serve solo a fare le cose più difficili”

Sembra così banale, un po’ come il male.