Eventi, Senza categoria

Il cibo è la mia accademia platonica

Stavo leggendo un articolo sul Caffè il Quadri di Venezia quando mi sono imbattuta nella frase di Claudio Magris. Descriveva un caffè come

…un’accademia platonica, in quest’accademia non s’insegna niente, ma si imparano la socievolezza e il disincanto. Si può chiacchierare, raccontare, ma non è possibile predicare, tenere comizi o fare lezione…

E capito finalmente come descrivere e presentare la mia passione per il cibo e i momenti di sua condivisione con gli altri. Un’accademia platonica, sì. Un momento in cui si lasciano in libertà i pensieri e le idee. In cui il filosofeggiare da tavolino diventa la cosa più importante e spontanea della vita. In momento in cui ci lascia andare a riflessione tra il casuale ed il caotico. Solo (o forse anche) così viene fuori la personalità

E così sabato sono stata nella mia accademi platonica con Concy. Era il brunch di natale fatto come da tradizione, per la seconda volta :), quest’anno con l’amica Concy. Per ignote ragioni entrambe ricordavamo con gran piacere quello dello scorso anno.Ricordavamo i Nescafè bevuti aiosa, il cibo non di qualità così ridondante da interporsi nel nostro vaneggiare. Ma ancora più importante, ricordavamo che eravamo state bene, bene tra le risate, i silenzi, lo scambio arruffato di regali e gli scambi di notizie sulle nostre vite.

Sabato la magia si è ripetuta. Il cibo non c’entrava nulla, era una scusa per incontrarci e lasciarci andare a noi. Quasi irrefrenabilmente nella conversazione, di tre ore, Gianni Rodari è venuto a fare un saluto, Carver ad incuriosire, Fatema Mernissi a proporre future letture, Il giardino del tè a stuzzicarci, BiblioTeq a dare certezze, l’irreale mondo del lavoro attuale a confonderci, i casi della vita a preoccuparci, i desideri a rendere ancora più vivace il tutto.

Nessuna insegnava o predicava, si chiacchierava e si dava nuova linfa alla tradizione orale. La tavola oramai è l’unico luogo in cui la tradizione orale ancora avviene. Ho letto parole preoccupate sull’onnipresenza del cibo nella “cultura” italiana attuale. Il che è verissimo. Questo l’ho sempre vissuto male, come segnale potenziale di dissillusione fine a se stessa, non reattiva, non creatrice. Eppure faccio parte di questa “cultura” e fra le tante culture che si combattono per avere un’egemonia sulle altre, questa è quella che trovo più sincera e vera. Sarà perchè permette un recupero delle tradizioni abbandonate nella foga di lontani boom o perchè più banalmente è l’unica che tiene ancora in vita la tradizione orale.

Per me la tavola è sempre stato un luogo di dialogo pure in famiglia, grazie anche al puntiglio di mio padre di non avere la tv in sala da pranzo. C’era la radio, ma si parlava (qualcuno predicando, ma non faccio nomi 🙂 ) di politica, attualità nostra e del mondo. Son cresciuta abituata ad assocciare al cibo anche un senso di condivisione, quasi morale a tratti.

Per questo, forse, ora il cibo è diventato la mia “cultura”. E’ diventato svago, valvola di sfogo, rifugio, ma sempre con le mani in pasta e con la voglia ardente di condividere. Insomma, sempre con la voglia di dire qualcosa con cibo.

Dopotutto però la cosa migliore è entrare in queste accademie platoniche e farsi cullare dal tempo senza preoccuparsi del suo peso.