Giovedì ero a Parigi per lavoro con un po’ di influenza al seguito e poco tempo per godermi lo spirito parigino.
Come da insegnamenti di Tirebouchon, ho selezionato un cafè dove rifugiarmi ed osservare la gente. Dovendo 🙂 andare a fare un salto da Fauchon per qualche acquisto gustoso, son capitata in un cafè di Place de la Madeleine. Un cafè moderno, ahimè con uno schermo televisivo, che fortunamente, però, nessuno degnava di uno sguardo.
Con un tè, causa influenza, e un croissant, causa golosità, davanti mi son messa ad osservare il tempo ed il suo scorrere intorno a me. Vetrate sulla piazza confondevano i pensieri, mentre ogni tavolo sviluppava una storia a sè. Con vari e casuali pensieri che si sovrapponevano. Niente cibo, niente ricette in mente, solo istanti.
Il cielo a Parigi per me è sempre grigio, l’ho sempre colta così la città. Paris per me è un incontro frettoloso, non ho mai avuto il tempo di invaderla se non così. Seduta ad un cafè cercavo di andar oltre. La passeggiata lungo Rue LaFayette era ancora colma di calma mattutina, non ancora toccata dallo stress mio o altrui del lavoro. Mentre qui al cafè…
Alla mia destra c’era un signore che ingannava il tempo leggendo un giornale, sfogliando con calma, senza noia, le grandi pagine. E subito ho capito che non ero in Italia. Sulla pagina capeggiava un’offerta Ryanair, nulla di strano se non che la destinazione era il Marocco. Geografica, politica, storia: quante cose cambiano a due sole ore di volo da casa.
Neanche vedere degli italiani mi faceva sentire a casa. Infatti, l’unica coppia di connazionali era l’unica a manifestare insofferenza. Era come se qualche privilegio fosse loro negato. Un privilegio disatteso anche perchè non espresso, almeno mi è sembrato così. Subito però si capiva che le loro abitudini non si fa confacevano alle abitudine parigine e per loro la colpa era dei parigini. Neanche il tentativo di andarsene senza pagare, gli riuscì. Era in ballo una bottiglia di acqua, che i francesi offrivano in vetro, mentre gli italiani la volevano in plastica, per portarla via. Una questione seria!
A governare comprensioni e incompresioni c’era un folto gruppo di camerieri, dalle diverse origini, ma tutti dai modi compunti e distaccati. Quella perfezione e distacco che fatico, ancora, a comprendere dell’animus parigino, se non francese. Mi sento così vicina allo spirito inglese, quanto lontana a quello parigino. Il distacco lo interpreto come individualismo estremo che fatica a farsi comunità, anche se in Francia si sono sviluppate rivoluzioni rispettate ed adorate tutt’oggi.
Anche perchè agli stranieri siamo noi a sembrare strani, noi che parliamo, ridiamo seduti sulle poltrone di un albergo o di un bar. Giusto poche ore dopo la collega slovena avrebbe notato questo: “Voi italiani siete strani, parlate di tutto in pubblico, non vi fate problemi. Noi siamo così solo in casa.”
Però ancora non mi riesco a spiegare come quella bella, bionda, giovane ragazza all’aeroporto Charles De Gaulle non è riuscita a fermar nessuno chiedendo informazioni su dove fosse il treno per la città. E così ho conosciuto una compagna di viaggio sulla tratta aeroporto-città. Era una giovane lituana in visita, per la prima volta, a Parigi. Carina, elegante, raffinata, gentile.
Non so se è la grande città a confondermi, non so. Durante un viaggio con zaino in spalla lungo la Loira, la francesità emergeva diversa. Certo, non vicina al mio sentire, ma comunque più calorosa. Ma su cosa sia il calore umano già ci son differenze tra nord e sud Italia, figuriamoci se non ci sono tra Italia e Francia. Non mi piace neanche andarmi a facili luoghi comuni. Parigi ha un fascino così variabile, così complicato che non può che attirarmi e allontanarmi insieme.
Prima o poi ti scoprirò Paris.
Intanto, mi hai conquistato al bar quando una signora di mezza età è esplosa in un saluto gioviale, giovanile verso il tavolo delle sue amiche. Così tre signore di mezza età sul biondo e sul caschetto hanno attirato la mia attenzione. Colori grigi le adobbavano, mentre l’agilità nei gesti e nei sorrisi riempiva il cuore. Il viso più segnato era esuberante nello sguardo e nelle curve del tempo. Fu una scena se non commovente, almeno ricca di buoni propositi per il futuro.
Non ho potuto far a meno di pensare: “Quanto vorrei che mia madre fosse qui e godesse di questo momento, lei sì che è parigina”.
Pur non avendo capito cos’è Paris mi è venuto instintivo associarla alla mamma. Forse perchè nella memoria mi sovviene quella foto di lei da piccola in “gita” a Parigi al seguito dei genitori emigranti stagionali. Una parte della storia della mia famiglia affonda le radici in Francia e nelle cucine dei grandi signori di un tempo, che avevano cuochi e donne delle pulizie italiani.
Au revoir, Paris