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Fagioli neri e pitina

L’ingrediente speciale è lei, la piccola ed affumicata pitina. E’ giunta fino a Roma nelle mani di una di quelle giovani (ma sì, ancora giovani) professoresse italiane che non si arrendono. Lei, la Serena, si presenta come un’archeoprofessoressa. Poche cose la trattengono ed io ancora non le conosco. So che con la sua Panda gialla scava in giro per l’Italia, l’Europa ed il Vicino Oriente ogni estate. Perché lei non è una ciusi. D’autunno, inverno e primavera si insegna, d’estate si va a fare scavi archeologici. Se lo scavo poi concede ancora del tempo eccola in giro con la parte giovane (ma sì, ancora giovane) dell’Happy Family versione pordenonese, pardon versione Rorai Grande. La Elena e la Sara non l’abbandonano mica. Non c’è aria di bamboccioni neppure dalle loro parti. Questa estate sembra vadano a trovare l’Orso Yoghi. Così l’archeoprofessoressa con una trentina di studends (ed una suora che ha portato al pub) è arrivata in quel di Roma nell’unico fine settimana di pioggia. Non so per colpa di chi. Come si conviene alle brave …

Il desiderio di una zuppa con soba, cavolo e pestadice

Ci sono cucine dove abbandonano i nomi strani, le voglie più impreviste. Pestadice e soba ti dicono niente? Arrivano poi quei momenti in cui si vuole abbracciare tutto quello che la terra ha da offrire. In un caldo inverno sorge pure il cavolo nero. E poi eccolo il fatidico momento del mercato, il solito, rigorosamente lui. Non resta che scaldare il fornello e concedere alla  zuppa con soba, cavolo e pestadice di fare il suo corso. Non c’è nessuna tradizione a giustificare questo caldo piatto dove gli orientali spaghetti di grano saraceno si mescolano alla friulana pestadice. Lo scopo di quest’ultima è  qui creare un brodo dove il brodo non c’è. Lei, la pestadice, è una cugina del pestat. La zona di produzione è sempre Fagagna e dintorni. Siamo nel Friuli. Grasso di maiale ed erbe sono mescolati e nel caso della pestadice diventano una sorta di insaccato. A me è arrivato sotto forma di salsiccie da custodire tra frigorifero e freezer per ricordare qualche profumo della casa a nord-est. Infatti era un giorno in …

Una zuppa col pellegrino

Benedetto se ne era andato. L’avevo salutato mentre l’elicottero bianco si librava in aria. La mano mi si mosse spontanea, incosciente di dove mi trovavo io e di dove si trovava lui. Era quasi diventato un pelligrino, mentre aprii la porta del frigoriferio. Stavo mischiando momenti nella mia testa, se non frastornata quanto meno colta di sorpresa. Quella sera era rimasta solo a casa. Mio marito era uscito a prendere una pizza con gli amici. Io dopo la birra della sera prima avevo preferito riposare, accartocciare pensieri ed energie sul divano e non fare nulla di più. Non mi rimaneva che dedicarmi a quel nulla che volevo. Nella cucina giunsi con l’energia di una trentenne svogliata. L’unico rifugio possibile erano i piccoli tesori di un frigorifero il giovedì sera. Due cipollotti: li vidi subito e li presi. Una rapa bianca e sia pure quella, decisi.

Zuppa di una volta

Ma proprio di una volta, della volta dei racconti. Ero sul divano, cosa non rara durante i giorni influenzati. Sfoglio Elle à table, scorgo una zuppa all’antica. Attrezzo di estro la fantasia. Mi faccio forza col piacere di poter accogliere a casa per pranzo la Cavia. Le cose rare si sa incitano a cliccare tra uno zapping e l’altro anche quel tasto là, sì, quello rosso. A trasmissioni interrotte (volontariamente) scosto la copertina. Verde, rossa, bianca, blu, strisce di calore. Inforco le materne ciabatte. Sorrido in faccia alle ginocchia che scricchiolano. Età o influenza? La seconda che ho detto. Il divano si allontana da me, pigro pure lui. Uno strattone contenuto alla porta che porta in cucina. Ed ecco il gelo di una stanza priva di riscaldamento. Siamo in inverno. Mi devo muovere. Il coraggio persiste. Affronto la tempesta di energie ballerine. Sfilo il tagliere tra il muro e le pentole. Furtivamente rapisco dal frigorifero cipollotto, carota, gambo di sedano, ultime foglie di cavolfiore. Nessun riscatto viene chiesto. Con calma e faccia tosta apro la …

Timidezza di carote gialle

Carote gialle e carote viole come resistergli anche se ti addocchiano dalla bancarella più costosa di Campo dei Fiori? Il sole splendeva, io non avevo voglia di spendere neppure nell’ultimo numero di una rivista di cucina inglese. Eppure andata diligentemente alla mia bancarella son ripassata lì e la mia mano, candida candida, ha preso due carote gialle e due viola (o nere). Risultato? Un conto che non svelerò mai a nessuno, neppure sotto tortura. L’assenza di prove testimoniali, se non una sola fotografia fatta col cellulare, faciliterà questo mio silenzio. Potrò sempre negare l’accaduto. Il lato positivo della medaglia è che le ho sfruttate al meglio. E son qui a condividere queste banali e timide ricette, che però servite sulla tovaglietta azzurra sono state apprezzate. Anzi, io e la Cavia affermiamo quasi che una carota non vale l’altra.