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Scrivere col cibo: dalla parola all’immagine con Laura Ottaviantonio

E se non bastasse la parola per scrivere col cibo?

Dianne Jacob ha spiegato le basi del foodwriting. E’ partita da una ricetta ed è giunta al libro di cucina. Ma oggigiorno non di sola carta viviamo. Si può #scriverecolcibo anche (e solo) online. Certo, sullo schermo, ancora più che sulla carta, contano le immagini. Catturano e convincono a lanciare uno sguardo in più…oppure raccontano una loro storia.

Anche qui, non potevo farcela da sola. Con l’hashtag #scriverecolcibo soffro la solitudine e cerco il confronto. Preferisco il fruscio della penna, o l’irruente suono dei tasti della tastiera, al click, secco e riflessivo, di una reflex. Chi poteva aiutarmi (e aiutarci) a capire come allineare i due mondi?

La scelta è stata più immediata che ragionata. Ricette e Vicende è uno dei quei blog che sfoglio prima sullo schermo con una pacatezza per me insolita e che poi leggo, su carta, per assaporare ogni singola parola. Ammiro Laura Ottaviantonio per il respiro che sa mettere tra una parola ed il suo verbo, soppesando la storia nel suo divenire paragrafo dopo fotografia. Finché alla ricetta si giunge con un carico di saperi, umani e gustativi, prima ignoti.

Eppure di persona Laura ha una carica che dal blog trattiene da brava professoressa. Vediamo se si lascia un po’ andare o se tu preferisci lasciarti andare la suo stile?

Una domanda alla Marzullo, Laura: nasce prima la ricetta, la fotografia o la parola? Ossia che cosa dà vita ad uno dei post?

C’è una macchina combinatoria che si mette in moto quando comincio a pensare alla fisionomia di ogni mio nuovo post. Fotografia e scrittura mi aiutano entrambe a definire un luogo, per lo più narrativo, in cui parole e immagini si servono l’una dell’altra per amplificare la suggestione di una vera e propria atmosfera.

Ma se per ogni post immagini e parole hanno il dovere di essere coerenti l’una con l’altra, come le sequenze narrative di una stessa storia, a dare origine a quest’ultima è sempre la ricetta: è il motivo determinante, una specie di espediente narrativo.

La ricetta quindi ha una sua priorità rispetto a fotografia e parole, che consiste nell’essere insieme sia il punto di partenza, di una storia, il suo incipit, sia il punto di vista alterato, o semplicemente alternativo, attraverso cui raccontarla.

Insomma non a caso oggi mi ritrovo ad essereRicette e Vicende”: perché senza una ricetta a portata di mano, sette anni fa non sarei riuscita a dare forma a tutto un potenziale che sentivo inespresso e di cui il cibo è diventato, banalmente, il motivo occasionale.

‘Parossismo del Parrozzismo’

Epica famigliare è il motto del tuo foodblog. Qual è l’epica dei tuoi post?

La verità è che avrei desiderato fortemente chiamare il mio blog “Epica Famigliare” e non relegare questa espressione solo ad un motto o un sottotitolo.
Forse perché la scrittura di un blog, a suo modo, ha una pretesa comunicativa simile al genere letterario dell’epica che è quello di tramandare memoria, fosse anche attraverso una ricetta.

“Famigliare” è il modo in cui quest’operazione dovrebbe compiersi, per chiunque: l’autore di un blog infatti dovrebbe sempre attingere da un patrimonio di famiglia per distinguere il proprio modo di essere e il proprio mondo di provenienza, rispetto a quello degli altri.

La mancanza di un mondo famigliare di riferimento, rischia di privare un blog e il proprio autore della sua identità particolare e comporta il rischio, di limitarsi ad essere familiari: ovvero autori di blog che diventano calchi familiari di altri. Un obiettivo inutile per chi intenda veramente parlare di sé.

Mi piace proprio per questo l’aggettivo famigliare perché ribadisce l’idea che una ricetta, come una storia, siano in qualche modo autentiche e insindacabili perché mie e solo mie.
Di famiglia, appunto, come la più personale caratteristica della mia epica.

Quando ti metti a scriverli che processo si attiva in te?

In genere quando comincio a scrivere un post, c’è sempre un momento di impaccio che dipende dall’imbarazzo di trasformare una banale impresa domestica, come la preparazione di un’arista di maiale, in un’esperienza narrativa.

In questo caso la scrittura non dovrebbe occuparsi troppo di sé, semplicemente perché non dovrebbe diventare la meta a cui tendere in modo narcisistico, quanto piuttosto rimanere il mezzo attraverso cui edificare un ‘ambiente’ in cui chi ha voglia di leggere può accomodarsi.

Per arrivare a questo risultato il processo che si attiva quando comincio a scrivere un post è in realtà sempre lo stesso e cioè un lavoro di sottrazione del superfluo: parole, frasi e voli pindarici non funzionali alla coerenza di un post, non servono a me che scrivo semplicemente perché non servono a chi legge.

Come una ‘scrittura spaziale’

Come “sopravvivi” ad ognuno di loro?

La pubblicazione di ogni post presuppone un momento di sopravvivenza in compagnia di dubbi e domande destinate a non trovare un’immediata risposta. La domanda più ricorrente è quale sia l’effettiva destinazione di tutto ciò che pubblico e condivido.

Chi c’è dall’altra parte?” – Ecco cosa mi chiedo.
E’ una bella domanda per chi cammina nel buio ignorando il prossimo suo, ma al tempo stesso questa modalità del procedere a tentoni negli ultimi anni ha mostrato un suo sex appeal che mi attrae nella misura stessa in cui mi intimidisce. Forse questa condizione virtuale è semplicemente l’esca che stimola la voglia di scrivere, ma anche in questo caso c’è un’altra domanda che mi da il tormento e che mi chiede “Dove stai andando?”. E io in effetti vorrei saperlo.

 

Non usi immagini scontate, non sfrutti luoghi comuni, cosa ti guida nella scelta delle  parole da usare? Come queste parole creano il tuo stile e ti rappresentano?

Lo stile e modo di scrivere da cui tento di farmi rappresentare non è nelle parole ma nella scelta della loro posizione all’interno di una frase o di un discorso. Sulle parole non esiste una proprietà privata, anche se ho imparato a mie spese che c’è chi è convinto del contrario. Le parole quindi le lascio perdere.

Mi ritrovo, invece nell’uso di connettivi e di tutti quei nessi grammaticali che rendono riconoscibile a me stessa il mio modo di ragionare sulle cose e che danno forma alla mia più personale sintassi. Ecco la sintassi è mia, credo di averne costruita una a mia immagine e somiglianza: è la mia firma, una specie di marchio che non si può emulare senza il rischio di contraffazione.

Nel tempo sono diventata sempre più consapevole di questo aspetto e ho preso ad inserire delle vere e proprie formule ricorrenti che definissero ancora di più un mio modo di dire le cose all’interno dei post, ecco perché il mio stile non è in un vocabolario quanto piuttosto in una volgare operazione tecnica che però mi aiuta a definire chi sono ogni volta che dico qualcosa.

Epica, formule e vocabolario…
Ti avevo detto che Laura Ottaviantonio non è mai banale.
Hai mai pensato alle formule che usi quando scrivi col cibo? O che ti catturano mentre leggi una ricetta? Oppure per te è tutta questione di vocabolario? O il tuo occhio si ferma all’epica di un’immagine?

PS. Continua a seguire #scriverecolcibo