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L’olio non cresce sugli alberi

libro sull'olio

Un libro sull’olio, un incontro, un blend: non solo scuse per avvicinarsi al futuro dell’olio d’oliva oltre quel poco che già si sa

L’olio non cresce sugli alberi … a Cremona, lo dice subito Giovanni Zucchi quando è chiamato a presentare il suo libro sull’olio e sul blending. E’ successo anche a Roma alla Libreria Fandango Incontro il 28 aprile 2015.

Il detto popolare vuole che l’olio ricorda. Porta le tracce di quello che è, le sue origini. Ha una sorta di memoria delle olive racchiusa nel suo fluire.

Quanto ne sappiamo, tra luoghi comuni e pregiudizi, dell’olio d’oliva?

Il ruolo di Giovanni Zucchi, quale amministratore delegato dell’Oleificio Zucchi di Cremona, lo si intuisce quando svela subito le cifre sulla produzione d’olio da olive prodotto in un anno in Italia (350.000 tonnellate per la cronaca) o quando fa notare che la produzione nostrana d’olio copre il 40% del fabbisogno. Eppure “siamo” il secondo esportatore al mondo con i “nostri” 170 milioni di alberi d’olivo ed i “nostri” 750 cultivar.

Un libro sull’olio

L’olio non cresce sugli alberi e non si ferma ai numeri e va oltre un libro. L’incontro moderato da Gabriele Caramellino e con la presenza anche di Fabio Renzi, segretario di Symbola, entra nel vivo quando affronta il nocciolo della questione: quanto ne sappiamo dell’olio d’oliva pur avendolo sempre sulle nostre tavole?

I prodotti dell’oliva

Che cosa si fa con le olive? L’olio. Quale olio?
Non esiste solo l’olio extra vergine. Sembra che tutti vogliano solo lui e tutti a poco prezzo. Non è sostenibile” ripete più volte Giovanni Zucchi,

Lampante, olio sasso, olio sansa d’oliva, olio vergine, olio extra vergine d’oliva: questa è la sequenza. Un po’ come in un mulino di riso dove man mano si schiarisce il chicco, con le olive il processo è simile.

Serve sempre l’olio extra vergine d’oliva? Sempre e solo lui? Sono le provocazioni lanciate nel corso della serata.

olio blend creation

Il blending

Blend o miscela, eccolo il tema centrale del libro di Giovanni Zucchi “L’olio non cresce sugli alberi. L’arte del blending: come nasce un olio di grande qualità“.

La parola blend riferito all’olio che immagine ti da?
Se la riferiamo al caffè, cambia la tua opinione?

Il blend master non è un assaggiatore di olio d’oliva. Il suo compito è un altro. Deve cercare e valutare gli olii d’oliva a disposizione e cercare di crearne uno nuovo. Come si è sentito dire molte altre volte, anche nel blending 1+1 non fa 2. Maledetta matematica 🙂

Il sentore di mandorla può nascere da olii da olive che non profumavano di mandorla. L’interazione tra polifenoli diversi può fare anche questo. La fatica di questa arte risiede tutta nella capacità di accostare olii diversi per cultivar o provenienza.

La miscela d’olio d’oliva genera scetticismo, di questo l’industria e Zucchi ne sono pienamente consapevole, eppure ciò che Grecia e Spagna non hanno è la grande esperienza dell’Italia nel blending.
Questa capacità deriva dalla necessità dell’industria sana di arrangiarsi.

Perché fare blending?
Non sempre si abbastanza dell’olio da olive che si predilige. Altre volte è un problema di costanza nella fornitura. Un anno non è uguale all’altro nell’oliveto.

Vino ed olio d’oliva

Quel che il vino può e l’olio no.

Cosa ha in più il vino dell’oliva? Perché la capacità del pubblico di saper scegliere un buon vino è superiore rispetto alla sua capacità nell’optare per un buon olio d’oliva?

La risposta di Giovanni Zucchi, e non solo, risiede nel fatto che il vino ha saputo diversificarsi. Si va dal Tavernello, capo espiatorio di molte presentazioni, fino al Barolo ed oltre. Mentre per l’olio da olive ci si ferma all’olio extra vergine d’oliva.

Eppure alcuni olii da olive, come quello da sansa, potrebbe incontrare il gusto dei consumatori dell’India e della Cina. Anche gli italiani potrebbero riscoprire altre varietà di olio d’oliva e guardare con occhi diversi al blending.

Etichette e scelte

Perché allora non ci dite tutto questo?
Sembra la più naturale domanda che nasce da queste chiacchiere. Perché non ci svelate che olii d’oliva usate? Perché non lo scrivete? Perché non descrivete l’olio d’oliva che sta in bottiglia? Sarebbero tutti elementi che aiuterebbero il consumatore tanto a scegliere quanto a giudicare.
L’autorisposta è stata data subito richiamando la legge non permetterebbe di descrivere l’olio d’oliva in etichetta.

C’è, però, dietro una questione culturale più ampia.

Il famigerato consumatore è abituato a rifiutare un vino “che sa di tappo”, mentre difficilmente rimanda indietro un olio d’oliva che, ad esempio, non si addice al pesce che gli è stato servito.

Proviamo a fare un blend d’olio d’oliva

olio bottiglie

Oramai non ci ferma alla chiacchiere neppure durante la presentazione di un libro.
Su ogni tavolo, per ogni partecipante erano presenti 4 boccette contenenti quattro tipologie diverse di olio da olive. Nulla è stato svelato del loro contenuto. L’assaggio e la blend-experience è stata fatta in totale cieco.

Dopo l’esperienza con l’Associazione Italiana Produttori Olivicoli (AIPO), tutta incentrata sui cultivar italiani, questa ha aggiunto qualcosa. Solo alla fine ho scoperto che la varietà di olio che prediligevo veniva a Colletorto in Molise, seguita da quella prodotta da una cooperativa dell’Andalusia. Mentre quelle meno apprezzate, dai miei gusti e non per qualità, sono state di un cultivar dalla Spagna e quella cretese.

Don’t touch my blend.
Però la ricetta è pubblica 🙂
25 ml di olio di olive di Corretorto, 10 ml di olio spagnolo e 14 ml olio andaluso, per una soddisfazione finale e personale del 70%.
La punta di amaro, seppur gradevole, era eccessiva…per me. Mi sono scoperta blending-perfezionista.

E tu che blend sei?


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