Discussioni, Libri

Alpini in cucina con Elisabetta Michielin

La cucina degli alpini. Forse neanche gli alpini si sarebbero mai aspettati di finire in un libro di ricette.

Alpini? Tutti in cucina.
Non c’è niente di meglio che incappare in un libro che stupisce fin dal titolo.
Effettivamente questo Quaderno di Cucina degli Alpini, compilato con cura e dovizia da Elisabetta Michielin per Kellerman Editore, si fa notare.
Sebbene mi sia già occupata del cibo, della fame e delle ricette soldati, non mi aspettavo che potesse esistere anche un libro così.
E’ cosa recente. E’ stato pubblicato quest’anno, nel 2014. L’ho scoperto grazie ad una fedele amica, tale Elena Tubaro, che mi ha messo in contatto con Elisabetta.

Tra storie, aneddoti, ricette, ho voluto scoprire di più di questo quaderno.
La grafica gradevole ed evocativa arrichisce un bel lavoro fatto da Elisabetta Michielin, che ama definirsi figlia di un artigiano e di una operaia emigranti. Pordenonese, lettrice compulsiva, webdesigner, e ti cattura con la sua caparbietà nel “tirare la carretta”.

Mi ha convinta già alla seconda pagina de La Cucina degli Alpini.
Tante cose mi hanno conquistato. Cerco di mettere assieme ed in maniera ordinata i vari perché:  semplicità, originalità, libertà, capacità di collegare fonti ed eventi. Mi aspettavo, lo ammetto, qualcosa di molto più semplice, temevo l’ovvietà nonostante l’originalità. Invece, queste 96 pagine hanno il seme dell’unicità.  Sanno collocare gli Alpini sia a tavola che nella storia e pure nella quotidianità.
Non ho potuto far altro che contattarla e chiederle:

La solita domanda di rito: come è nata l’idea per La Cucina degli Alpini?

Questo quaderno è uscito a ridosso dell’Adunata degli Alpini che si è tenuta a Pordenone a maggio 2014, però è un lavoro che nasce dalla mia passione per la letteratura e per le storie di cucina.
Se ti piace leggere finisce che sulla tua strada incontri autori che nella loro vita sono stati alpini e che di quella esperienza parlano, e molto. Mi riferisco a Gadda, a Rigoni Stern, a molti dei futuristi, a Nuto Revelli, Curzio Malaparte, ecc. Ma anche a scrittori meno noti come ad esempio Eugenio Corti che è morto da poco quasi del tutto sconosciuto in Italia…

L’altra cosa che mi è sempre piaciuta, è la storia della cucina, non tanto di come cambiano le ricette e la composizione dei piatti, ma le storie intorno alla cucina e all’atto del mangiare.  Perché noi umani mangiamo insieme e mentre mangiamo ci raccontiamo storie, a volte facciamo addirittura filosofia.
Altre volte ci consoliamo come testimoniato nei ricettari di guerra, compendi di scrittura collettiva in cui soldati in condizioni di fame e privazioni estreme, imprigionati in lager, si raccontano a vicenda le proprie ricette regionali ri-narrate sul filo della memoria e della nostalgia di una vagheggiata epoca felice e dell’abbondanza.

Quanto lavoro da topo di biblioteca si nasconde dietro il libro?

Spero che questa domanda non sottointenda che il libro è noioso!
Io non sopporto i topi di biblioteca che mi immagino come dei pedanti compilatori di codicilli e partigiani della correttezza filologica… Nessun lavoro da topo di biblioteca!

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No, non l’ho trovato pedante. Solo che si vede hai letto molto e che non è un lavoro improvvisato.

Chi mi conosce sa che non resisto e quando leggo un nuovo romanzo lo devo per forza raccontare o consigliare o addirittura “imporre” agli altri. Qui li ho messi tutti insieme seguendo un ritmo di affinità e “simpatia” . Purtroppo devo cospargermi il capo di cenere, infatti – proprio perché non sono accurata e mi faccio trasportare dall’entusiasmo fidandomi troppo della mia memoria – ho trasformato “Il sergente nella neve” ne “Il sergente della neve” quasi che il mio inconscio avesse voluto tirar fuori dal freddo il povero protagonista di Rigoni Stern e dotarlo nel contempo di un titolo onorifico del tutto inventato…
Ma a ben pensarci è un titolo che si merita, perché con la sua pazienza e il suo stoicismo il sergente Rigoni è riuscito a dominare tutto quel paesaggio innevato ed essere signore di una situazione estrema…

Cosa racconta di più il tuo libro: la cucina, gli Alpini, la quotidianità della guerra, l’essere umano?

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Ho cercato di raccontare  tutti questi aspetti, come si intrecciano e come si sospendono o trascorrono da uno all’altro…
Il regista Monicelli parlando de “La grande guerra” dice molto acutamente che non bisogna dimenticare che nelle trincee e in prima linea  ci sono ragazzi a volte ragazzini. I ragazzi non possono avere sempre paura senza interruzione… Questo film è molto bello proprio perché è un intreccio di terrore e comicità, come è la vita e anche la guerra. Perché a ben pensarci non è tragicamente ridicolo che gli uomini facciano una cosa così orrenda come scannarsi in una guerra di trincea?
Fra una granata e l’altra Alberto Sordi dà la caccia a una gallina planata surrealmente nella terra di nessuno…. un momento di cesura, la normalità della vita che entra a sorpresa nel fango della guerra.

Perché hai voluto citare anche Il Talismano della Felicità?

Si può parlare di cucina italiana del ‘900 senza parlare di Ada Boni e del suo manuale che è stato regalato a generazioni e generazioni di donne? Chi di noi non ha in casa una copia del Talismano, magari anche con qualche foglietto supplementare di ricette scritte a mano da chi ce l’ha tramandato?

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Nel mio quaderno ho voluto renderle omaggio con una sua ricetta  autarchica  – la torta Bil Bol Bul – che varrebbe la pena riscoprire perché rientra a pieno titolo in quella che adesso ci piace chiamare “cucina senza” in questo caso: una torta di cioccolato SENZA  burro, perfetta per chi è in dieta…  Ma c’è di più, e ho scoperto che Ada Boni era nipote d’arte e cioè di Adolfo Giaquinto, cuoco rinomato, poeta vernacolare e autore di molti ricettari di cucina. Di lui ho riportato una ricetta molto gustosa.

Qual è nel tuo libro la ricetta che più alpina non si può?

La pasta, che discorsi!
Con buona pace dei futuristi e di Marinetti che nel suo “Manifesto della cucina futurista” del 1932 chiede “l’abolizione della pastasciutta, assurda religione gastronomica italiana!” sostenendo che “non è un cibo per combattenti” e inventandosi che è un cibo di origine asburgica. Ma poi il buon Marinetti, forse ricordandosi di essere stato alpino, concede che per questi ultimi – a cagione delle fatiche che devono sopportare – si possa fare una deroga. E che la pastasciutta sia stata il cibo per eccellenza, lo ricordano anche le canzoni degli alpini sempre critiche sulla qualità della stessa: “a mezzogiorno la pasta c’è, ma è tutta colla, ma è tutta colla…”
Comunque gli alpini nella loro storia (che risale al 1872) sono stati in tutto il mondo, dal Nord Africa, alla Russia, ai Balcani, al Polo Nord (in soccorso di Nobile) e quindi la loro cucina sì è sempre dovuta adattare alle circostanze e agli ambienti ostili o comunque molto diversi in cui si sono trovati a operare. Per non parlare di quando erano in trincea lungo il fronte della Carnia durante la prima guerra mondiale e il cibo gli veniva portato a costo di fatiche terribili, dalle loro mogli o compagne le cosiddette portatrici carniche.

Grazie, Elisabetta.
Io ho già scelto da dove cominciare…Bil Bol Bul.
Qualche altra domanda dal pubblico 🙂 per Elisabetta?

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