Eventi, Matrimonio

Oh, ma ci sposiamo #5: say yes to the dress

Facile, facilissimo scrivere di abiti da sposa. Romanticismo e pungente ironia sembrano facili da tirar fuori. Sgorgano quasi spontaneamente di fronte a certe esagerazioni. Eppure per scrivere quello che sto per dirti, ho pensato, scritto, ripensato, riscritto. Le parole giuste non uscivano. Mi sono spremuta le meningi pure sotto la doccia. L’acqua scendeva copiosa, calda, ed io lì a osservare il vuoto e a pensare.

Per giorni e giorni sono stata alla ricerca di quel messaggio chiave che poteva veramente farti capire com’è stata la mia ricerca dell’abito da sposa.Le premesse di chi sono, di quanto la decisione di fare il grande passo sia stata insieme una sorpresa e una lunga meditazione (oltre che mediazione), sono state già raccontate. Cosa potevo dirti ancora? Come potevo farti interessare alla mia piccola avventura?

Come tutte le storie, parto dall’inizio. Ho cominciato a cercare l’abito da sola. Non c’era mappa ad aiutarmi e neppure una sorella maggiore. Solo quella mamma …ehm che non volevo preoccupare oltre modo 🙂
I sogni di felicità preconfezionata sembrano paventarsi davanti a me nel Paese delle Meravigliose Esagerazioni a suon di tulle, merletti, pizzi, scollature, veli…insomma, una marea di cose inutili, che posso aver o meno a che fare con te. Con  me proprio non ci azzeccano. Manco col cavolo. Al limite io passo dai jeans alla minigonna, ma lasciando da parte tutto il resto.

Sì, sì, qualche “oh, che bello” detto timidamente o persino sognante mi è uscito, anche se ho capito ben presto che qualcosa mancava. Sì, bello. Sì, da favola. Ma….manca manca manca qualcosa.

Che diamine manca?
Cos’era quel timore scettico nel chiamare per il primo appuntamento? …ah, dimenticavo. Non credere di entrare così in un atelier da sposa. Ehi, fanciulla son negozi seri questi, mica son cose da tutte i giorni.
Già questo mi insospettiva. Era come ritrovarmi in un Paese non mio dove mancava qualcosa a me caro.

Mancavo io ed l’io è uscito preponderante al suono di “Second thoughts are best” ossia, parafrasando, “le seconde scelte sono le migliori”. Qui urge spiegare la cosa, sennò arrivi a pensare che mi sposi con una seconda scelta di uomo 🙂

Forse tu non conosci John Maynard Keynes ed è normale e sano che sia così, non preoccuparti.
Keynes era un economista, uno di quelli veri, tosto, deciso e con una grande consapevolezza dei suoi limiti come di quelli della sua materia. Trattengo tutte le mie pippe mentale da ex studentessa di economica  che si lesse famelica le oltre 3000 pagine della sua biografia in inglese (of course). Tutta colpa del mio primo viaggio a Londra e non di qualche pedante professore.

Tra tutte quelle pagine c’era anche sua moglie, Lydia. Ma va là! Una ballerina russa d’istanza in Inghilterra.
Per me divennero il simbolo della felicità nella fotografia che vedi qui accanto. Sorridenti, sereni, seduti in terra. Nessuna allegoria a rappresentazione della perfezione di quel momento condiviso. Una coppia semplice, con forse solo quel pizzico di vita straordinaria che mi faceva sognare ancor di più.

Prima di Lydia si narra che John Maynard fosse gay, come spesso si dice di molti inglesi. Riferendosi al suo matrimonio lui scrisse che  “Second thoughts are best”.

Effettivamente…
Io non volevo a sposarmi, fino alla Cavia. Covavo sogni di indipendenza, di intraprendente ricerca di sane soddisfazioni personali, di viaggi ad oltranza, di sogni Oltremanica. Ma poi capita il giorno in cui ti dici “Voglio quello” e quel quello è una coppia di vecchietti che si tengono per mano, vanno al loro passo e tornano a casa. E poco dopo si incontra la Cavia, quasi come in una magia.

Io non volevo l’abito che ho scelto, mi appariva bello sì ma indecifrabile. Eppure l’ho indossato subito dopo quello di cui mi ero innamorata, ed è scattato qualcosa.
Si racconta che ogni sposa abbia un suo abito, che quasi l’aspetta. Si narra che la sposa sente subito se quell’abito è il suo. Io ero super schettica nel confronti di tale magia non governata nè da leggi fisiche nè logiche.
Mi tocca però ammettere che già mentre lo indossavo, con lo specchio alle spalle, l’ho sentito mio. Comodo, adattato per un giornata impegnativa e lunga.
Mi son girata e…ho visto che stava bene, aveva ancora un suo misterioso non essere perfetto che però si adattava a me, perché? Perché mostrava me e non lui.

Velo o non velo: oltre le tentazioni 🙂

Io non volevo il velo, ma ho fatto la prova e mi son convertita. L’ho provato dicendo “Beh sì, dai, proviamolo, dato che ho scelto l’abito che non mi convinceva, sia mai..”. E sia mai è stato!

Io non volevo rompere le scatole alle amiche.
Ci si sposa una volta sola e quella volta te la fan pagare cara! E tu la fai pagare cara a chi ti sta attorno 🙂
Pensa a me. Dicono che son timida, riservata, persino criptica. Stavolta, e solo stavolta, di sicuro son stata una scettica titubante molto chiacchierina, per una volta tanto. Email sono giunte ad amiche romane, friulane e anche cinesi (eheheh anni di penpal fanno da scudo alla blogger del 2011). Nonché devo un grazie speciale ad Agnese che ha assistito trattenendo le lacrime alla scelta, mentre Concy attendeva aggiornamenti fino a Canosa.

Io non volevo spendere.
I prezzi non scherzano, l’ho capito subito. Da anni e anni ripetevo che l’abito da sposa deve essere semplice e “che costa meno“. Però poi… non ho esagerato, per i miei standard.  Sì, tutto è stato nei limiti delle mie possibilità. E’ stato però di più.
Ho voluto regalarmi un sogno. Quasi a riscatto di quei momenti critici vissuti. Quasi a rivalsa di quella paura del futuro che può risolversi in un nanosecondo o arrivare agli ottant’anni. Quasi a ricompensare la mamma che accolsi una volta in un letto di ospedale romano scoppiando a piagnere, per giunta. Quasi a dare un benvenuto coi fiocchi al papà, che sarà in visita a Roma per la prima volta.
Ho speso, sì, per avere la Nostra giornata speciale, dedicata ai famigliari e agli amici, ma contornata da tanti piccoli capricci.

Una festa con i piedi per terra e gli amici attorno: l'abito fa da contorno.

Io non volevo emozionarmi.
Ma è successo, anche se dopo. Anche se a modo mio. Mentre guardavo Agnese mi chiedevo se avesse la faccia rossa per il caldo. Poi mi disse, appena uscite, che stava per piangere. Mi son chiesta perché io non piangevo.
L’ho capito dopo, quando ho abbandonato l’amica subito dopo pranzo per correre a casa, perché ero stanca. Avevo bisogno di un divano 🙂 Poi a casa, sul divano, non riuscivo a star ferma. Ho preso per mano il nubendo e l’ho trascinato in qualche erratica passeggiata per Roma. Ma ancora niente pace. Due e più passi per la stanza, su e giù, di continuo…insomma, è stata un’emozione così grande che non poteva risolversi in una lacrima.

Io non volevo o meglio non ci credevo, ma è veramente una bella avventura arrivare al say yes to the dress.
Sarà superflua, inutile, banale, banalizzata, trita e ritrita. Ma è indiscutibilmente un momento del percorso iniziatico verso quel benedetto anello e quella sonora promessa.

to be continued
La prossima, tanto attesa, puntata lunedì 6 febbraio 2012: Oh, ma ci sposiamo #6: s’ha da fa

Per le puntate precedenti:
Oh, ma ci sposiamo #1: son cose che succedono
Oh, ma ci sposiamo #2: come te lo chiedo
Oh, ma ci sposiamo #3: parola in codice “sposa” 

Oh, ma ci sposiamo #4: tenere a bada la mamma

Le immagini di questo post sono tratte da  Bride Net e Ruffled.