Eventi

Conosco il miele?

miele

Miele: un viaggio alla sua scoperta con l’antropologa dell’alimentazione Lucia Galasso

Domanda stupida, banale. Il miele è quella roba lì. Un prodotto delle api con l’intercessione della mano dell’uomo. I fiori attirano le api e noi spalmiamo il miele sul pane. Certo gli riconosciamo anche altri usi più nobili, come difenderci dal mal di gola 🙂

Scherzi a parte e banalità a parte, mi sono ritrovata la casa invasa da mieli friulani, siciliani, romani e persino polacchi. Così attorniata ho voluto saperne di più. Qualche mese fa mi avvicinai ai Mieli Mil intervistando un giovane produttore di mieli come Andrea D’Orlando, stavolta ricorro ad un’amica antropologa.

Lucia Galasso, già membro della giuria speciale dei Blecs, mi scriveva messaggi tempo fa tipo: “Non posso venire sabato, sono a smielare”.
Smielare?
Lucia si è buttata sul miele, ha voluto incominciare a vedere come si fa. Da antropologa non si è fermata alla carta, ma ha voluto smielare, appunto.

Per capirne di più del miele, dello smielare e del mondo immenso che un barattolino di vero miele può nascondere, le ho chiesto:

Dalle origini del miele…

Cara Lucia, partiamo subito dandoci un tono professionale. Tu sei antropologa e non posso che cominciare con: quali sono le origini del miele?

Ciao Rossella, sì sono un’antropologa dell’alimentazione. Studio i processi e le dinamiche culturali connessi alla produzione, preparazione e consumo del cibo nelle diverse culture, alla loro storia e, in particolare, ai significati socioculturali e simbolici a loro sottintesi… E il miele non sfugge a questo discorso.

L’utilizzo del miele da parte dell’uomo affonda le sue radici nella nostra preistoria al pari dell’uso dell’alcool, della carne e dei semi oleosi. Anzi, i recenti studi dell’antropologa statunitense Alyssa N. Crittenden attestano che il consumo di miele da parte del genere Homo ha avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo del nostro cervello. Questo a testimonianza di quanto sia antico il legame che unisce api e uomo.

Ulteriori conferme ci vengono da una pittura rupestre databile intorno a 9000 anni fa (la datazione varia a seconda delle fonti) che raffigura una persona aggrappata a liane e circondata da api, nell’atto di raccogliere dei favi; o dalla pittura scoperta nello Zimbawe che raffigura l’affumicamento di favi selvatici da parte di un uomo per arrivare al prezioso miele.

Con la scoperta, poi, che gli sciami naturali accettano di buon grado di insediarsi in contenitori (arnie) appositamente predisposti, la ricerca di alveari selvatici si deve essere trasformata ben presto in allevamento vero e proprio. Da questo momento in poi l’ape accompagnerà la civiltà umana dalle sue prime forme fino ad oggi.

In Egitto è attestata un’apicoltura sviluppata già intorno al 3600 a.C grazie al ritrovamento delle pitture presenti nel “sarcofago di Mykirinos”, e sempre agli Egiziani è imputabile la prima forma di nomadismo (per nomadismo o transumanza si intende lo spostamento di un apiario da un luogo all’altro per seguire le fioriture) trasportando con le barche le loro arnie lungo il Nilo per seguire fioriture scalari e ottenere così il miele aromatizzato con l’essenza floreale voluta.

Per tutta l’antichità, fino allo sfruttamento industriale della barbabietola da zucchero, il miele è stato il principale dolcificante impiegato e di conseguenza l’apicoltura aveva un ruolo della massima importanza. Va anche detto che per tutto il Medioevo gli apicoltori si limitarono a fornire dei ricoveri temporanei agli sciami per poi praticare l’apicidio al fine di estrarre il miele dai favi.

Le api stesse erano oggetto di varie credenze e superstizioni, come quella che voleva che esse si generassero dal corpo di un bovino in decomposizione.

Si deve attendere il 1851 perchè l’americano Lorenzo L. Langstroth scopra che i favi possono essere inseriti in telai mobili, rendendo così possibile la loro estrazione e la loro manipolazione e permettendo quindi tutte quelle pratiche che oggi sono alla base della moderna apicoltura.

C’è poi tutto il discorso del miele dal punto di vista simbolico ed etnoarcheologico… ma quello lo sto ancora studiando.

E le origini della tua passione per il miele?

Sembra assurdo ma non è affatto una mia idea ma di… mia madre.

Tua madre? La mia è solo passata del decoupage alla falegnameria…

Apiarii in Malga Vinadia Grande di Andrea d’Orlando (Friuli)

Sulla soglia della pensione lei ha incominciato a chiedersi come impiegare il tempo libero e si è innamorata delle api! Ha iniziato a fare un primo corso… ha comprato un terreno agricolo in Abruzzo dove collocare le arnie (all’inizio saranno quattro per prendere dimestichezza con queste bestiole) e ci ha coinvolti tutti. Ora stiamo tutti frequentando un corso presso l’azienda Apicoltura Spiccalunto. Ad aprile/maggio impianteremo le nostre arnie e dobbiamo essere pronti ad accogliere gli sciami.

… alle varietà del miele

Colori, pollini, aromi, fiori di appartenenza e non dimentichiamo le preziose api da cui parte il tutto… il mondo del miele sembra infinito. Come capire i mieli? Tu, come affronti questo universo?

Io sto imparando, il resto lo farà l’esperienza. Di certo anche io, prima, ero completamente all’oscuro di questo universo. Le api sono un superorganismo, sono insetti sociali, il solo conoscerle dal punto di vista biologico ha un fascino indiscutibile. Il miele poi… quello che ci troviamo al supermercato sugli scaffali non ha nulla a che vedere con quello appena smielato. Io che non l’ho mai amato particolarmente mi sono dovuta ricredere! Non è così dolce e stucchevole come quello pastorizzato.

Capire il miele è un’arte e non a caso vi è un vero e proprio albo degli assaggiatori di miele con sede presso la F.A.I (Federazione Apicoltori Italiani), al quale penso di iscrivermi passando per il relativo esame di idoneità.

In generale il miele prodotto in Italia deriva dal nettare e dalla melata raccolto su svariate essenze botaniche e lavorato dalle api all’interno dell’alveare. E’ il famoso miele di fiori vari, “eteroflora” o “mille fiori”, e che grazie alla variabilità geografica e botanica del nostro paese assume aspetti molto diversificati da regione a regione e anche da anno ad anno.

Ogni zona comunque produce un miele abbastanza tipico, con caratteristiche abbastanza costanti, e così possiamo distinguere il miele della Val D’Aosta da quello dell’Altopiano d’Asiago, commercializzando così dei mieli tipici per zona geografica. In determinate circostanze però è possibile produrre del miele con netta prevalenza di nettare proveniente da una determinata specie botanica; è il miele monoflora. In Italia vi è una vasta produzione di mieli monoflora, ognuno con le sue caratteristiche salienti e le zone di più frequente produzione.

Mi hai raccontato più e più volte che il tuo miele è diverso da quello che si compra. I mieli industriali cos’hanno di diverso? Ogni alimento è intimamente legato al territorio ove l’uomo lo produce. Il miele come si lega alla sua terra?

Lucia Galasso ci sta raccontando il miele

In parte ho già risposto a questa domanda… mi preme spiegare perchè il “mio” miele è (sarà) diverso: semplicemente perchè quello da me lavorato durante il corso non è stato preparato per la commercializzazione, ma mangiato appena tolto dal favo o semplicemente messo nel maturatore per separarlo dalle impurità naturali presenti nell’alveare (cera, insetti e eventuali altri elementi estranei). Per essere commercializzato il miele deve attendersi a disposizioni ben precise che ne regolarizzano la produzione anche dal punto di vista igienico-sanitario.

Nelle grandi catene di supermercati troviamo il milele pastorizzato. Come sai la pastorizzazione è quel processo che permette di eliminare da un prodotto alimentare liquido la maggior parte dei microorganismi in esso contenuti (batteri e lieviti in principal modo) senza la necessità di dover ricorrere alla bollitura, che oltre a distruggere numerose sostanze termolabili, altererebbe anche le caratteristiche organolettiche conferendo il caratteristico sapore di cotto al prodotto.

La pastorizzazione del miele non si limita a uccidere la maggior parte dei microrganismi, ma distrugge anche quasi totalmente i nuclei di cristallizzazione presenti; il miele pastorizzato quindi si conserva liquido per anni. Inoltre, per quanto breve, questo processo altera il miele, soprattutto a carico degli enzimi e dell’attività antibiotica: una perdita, secondo me, sia dal punto di vista del gusto che delle proprietà “medicinali” di questo alimento.

Il miele vuol dire anche api

Volevo concludere con una domanda sulle api che oggi rischiano l’estinzione. Per te, neo produttrice di miele, cosa sono le api?

Le api hanno un’importanza notevole in agricoltura: permettono l’impollinazione di varie colture ma hanno anche un ruolo fondamentale nella formazione e nella conservazione dell’ambiente selvatico. Si deve a loro buona parte dell’impollinazione delle piante spontanee, contribuendo al delicato equilibrio del sistema naturale. E di questo equilibrio l’ape è una fedele paladina.

La scomparsa delle api è infatti un bioindicatore del grado di inquinamento ambientale, ecco perchè è fondamentale preservare la loro esistenza. A tal proposito si cita spesso la famosa frase attribuita erroneamente ad Albert Einstein, ma non per questo meno densa di significato: “Se l’ape scomparisse dalla faccia della Terra, all’uomo non resterebbero più di quattro anni di vita”.

Nel mio piccolo, allevando le api do il mio contributo all’ambiente e alla costruzione di un sogno: quello di fare il miele più buono d’Italia nel cuore dell’Abruzzo, vivendo nel mio superorganismo fatto di relazioni e territorio.

Attendo, allora, di assaggiare in anteprima il miele più buono d’Italia fatto in Abruzzo 🙂
Intanto, invito i lettori a scoprirti su Evoluzione Culturale.

Post correlati sul miele

Se questo viaggio dolce non ti è bastato, del miele puoi leggere anche in: