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Blecs al ragù di agnello

Non mi sarei mai aspettata di ricevere l’ultima ricetta per fare i Blecs are on the table proprio a mezzanotte dell’ultimo giorno valido. E’ veramente stata una sfida all’ultimo colpo.
Così anche Simone e Barbara han voluto dire la loro. Ti lascio alla loro esaurente ricetta e presentazione della stessa.

A voi Simone e Barbara:

I blecs sono tipici friulani. Sono una pasta fatta in casa, all’uovo. Ma con il parziale utilizzo di farina di grano saraceno. Da qui il colore scuro di questi regionalissimi maltagliati. Per la partecipazione ad un contest su internet (è un contest sui generis ma concorro per la vincita di dieci chili di farina!) abbiamo deciso di farli e di abbinarli ad elementi della cultura gastronomica della regione in cui vivo ora, dopo tanti anni trascorsi proprio in Friuli. E se lì li servono per lo più con selvaggina o con “l’ont” (l’unto, il grasso: insomma il burro!), io ho dovuto rifarmi alla nostra disponibilità, alla nostra tradizione.  

Così, dopo tanto ragionare, sono giunto alla conclusione che la tradizione andasse rispettata. Magari rivisitata in qualche ingrediente ma pur sempre rispettata. E quindi, se in Friuli si usano tanto oca, fagiano e capriolo, era giusto che noi rispondessimo con l’agnello!

 Blecs al ragù di agnello

Per fare i blecs ho utilizzato 150 gr di farina di grano tenero e 150 gr di farina di grano saraceno; due uova, 80 gr di burro, sale, pepe e pochissima acqua. Impastata, fatta riposare una mezz’ora, stesa. Ne ho ricavato dei triangoli di forma irregolare, del tutto simile ai maltagliati. 

Ma prima di questo mi sono dovuto occupare dei pomodori confit, cioè quasi disidratati. In questa preparazione i pomodori occorrono per garantire acidità ad un piatto che altrimenti tra agnello, olive e formaggio, sarebbe troppo tendente alla grassezza e all’untuosità. Si tagliano a meta i pomodorini (non i datterini: troppo dolci), si condiscono con olio, sale, pepe e origano e si mettono in forno, a 60°, per sei ore. Poi si esce a fare la spesa! 😀 

Anche il ragout d’agnello ha richiesto un po’ di lavoro. L’agnello rende poco; ricavare tre etti vuol dire, tra ossa e cartilagini, comprare quasi un chilo di carne. E’ un lavoro che i macellai non fanno volentieri e, quando lo fanno, se lo fanno pagare. Così ho preso due fette di posteriore della GDO e l’ho battuto al coltello fino ad ottenerne un trito omogeneo. 

Trito di odori: sedano, carota, cipolla, timo e rosmarino. Appena soffriggono dentro l’agnello, il sale e poco dopo il vino da far evaporare fiamma viva. Una volta dealcolizzato il vino si può chiudere il coperchio, abbassare la fiamma e aggiustare di tanto in tanto con acqua o brodo, fino a cottura ultimata.

Tritiamo grossolanamente le olive di Gaeta e facciamo a scaglie il Conciato di San Vittore. Una volta scolata la pasta e ripassata nel ragout, impiattiamo e decoriamo con la concassè di olive, il conciato e i pomodorini.

Abbiniamo un vino profumato con una vena acida importante e che può fare da testimone in questa staffetta tra Friuli e Lazio. Lo chardonnay è uno dei più importanti vitigni internazionali ma in friuli, dove è coltivato sin dai tempi degli Asburgo, è considerato come autoctono. Nel Lazio c’è una cantina che lavora bene, pochi km a nord di roma, e che fa un ottimo chardonnay: castelli di Torre in pietra. Lo abbiamo usato per bagnare il ragout e lo utlizziamo ancora adesso per dare ancora importanza al piatto. 

La mia presentazione lascia un pò a desiderare. E’ che dopo tanta fatica abbiamo ceduto alla fame e all’abbondanza! Buon appetito! 😀

Non direi proprio che lascia a desiderare, direi che lascia a bocca aperta per la bella scelta. E non nascondo neppure una certa acquolina in bocca. Grazie!